mercoledì 7 settembre 2011

[io gioco quindi sento] Angosce videoludiche

Giocando a Dead Space 2 avevo sottovalutato il meccanismo della paura. Nel primo commento che parlava delle fasi iniziali inserito nel post dedicato, faccio spallucce al "BuH!" beffandomi del fatto che i presunti coccoloni li avevo trovati tutti piccini e poco validi. Purtroppo non avevo preso in considerazione la loro somma.
In quanto sistema d'allarme la presenza costante della paura non genera assuefazione e di conseguenza una minore partecipazione. Al contrario, una sovraesposizione tende ad aumentarne l'intensità. Non a caso si sente spesso parlare di "paura che alimenta la paura", una sorta di cannibalismo sensorio che la rende più forte, più grossa, più presente fisicamente. In situazioni come DS2 se inizialmente i singoli suoni sono facilmente associabili al pericolo imminente - grugnito sinistro uguale mostro maligno di fronte a te - una quantità maggiore di effetti diffusi nell'ambiente rendono le fonti inevitabilmente più numerose e meno identificabili; in sostanza non tutte reali. Ed è questa particolare condizione che le permette di diventare protagonista indiscussa: il falso allarme, timori sprecati per pericoli apparentemente inesistenti che mandano in malora il calcolo delle probabilità incrementando l'esigenza di prudenza, richiedendo quindi più attenzione, più paranoia, una sua presenza più attiva. Siamo inconsciamente noi a richiederla, a darle le chiavi della nostra consapevolezza. La tensione che nasce dal dubbio sull'identità del pericolo esercita in alcuni frangenti una pressione talmente insostenibile che proprio come scimmiottato in molti film hollywoodiani, ti istupidisce, ti fa perdere la razionalità e pur di spegnere quel dannato allarme che risuona con sempre maggiore intensità nella tua testa, abbandoni l'angolino sicuro in cui ti sei ficcato per incontrare la fonte faccia a faccia, sbatterci contro anche a costo di pagarla cara. L'attesa che snerva più dell'atto una volta presente, pur se potenzialmente mortale. Il dolore della paura maggiore della conseguenza da lei prevista.

Durante il gioco-giocato il momento più rappresentativo in questo senso l'ho trovato alla fine del quarto capitolo, nella chiesa dove l'ombra s'è mangiata la maggior parte di luce e l'apparato uditivo prende in mano la situazione. È tutto in crescendo a partire da una via di fuga resa improvvisamente inaccessibile da qualcosa d'ignoto, fino ad arrivare alle "mostruosità" che pur manifestando tutta la loro minaccia attraverso una serie di suoni e fugaci presenze, si ostinano a non mostrarsi apertamente. In questo contesto anche le situazioni più improbabili generano tensione, che si tratti dello sciacquone automatico azionato varcando la toilette o la porta scorrevole alle tue spalle mentre indietreggi non sapendo se ad aprirla sia stata la tua presenza o quel qualcosa d'indefinito che sta cercando di entrare. La parte assolutamente bizzarra è che lo stesso timore, una volta raggiunta la vetta più alta, finisce per provocare ilarità vicino a quella sorta di risata isterica che fa molto pazzi in azione. Chiaramente siamo troppo vecchi per impazzire realmente di paura, ma il solo fatto di provarne un pizzico infinitamente piccolo, trasforma il risultato finale in una bella sensazione. Ed è per questo motivo che non smetterò mai di stupirmi di fronte a ciò che i videogiochi possono raccontare attraverso le situazioni che offrono. Comportamenti umani in generale, un quarto di conosci te stesso e perché no, piccole nuove consapevolezze riguardo situazioni tra fantasia e realtà; episodi che magari hai visto - e criticato - in modalità indiretta (libri, film), ma che solo una volta transitati sulla propria pelle attraverso un'interazione diretta assumono una sensata consistenza (anche fosse la sola versione "brivido"). Pad in mano parliamo di piccole percentuali, un buon ottanta di nulla contro un dieci di "quasi" e un altro dieci di "riuscito". Ma anche solo quel dieci quando funziona è sorprendente. Dio quanto amo i videogiochi.

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