con Leonardo di Caprio, Jonah Hill, Margot Robbie, Matthew McConaughey
The Wolf of Wall Street è molto simile per scopo ed impostazione ad altri celeberrimi film di Scorsese (Quei Bravi Ragazzi, Casinò); la voce fuoricampo dedita ad infrangere la quarta barriera è quella del protagonista, il broker truffatore Jordan Belfort interpretato da un Di Caprio caricato a molla ma rimasto all'asciutto di statuette, ed il focus più che su una vera e propria trama è posto sulla pura rappresentazione, sempre in bilico tra l'amorale descrizione ed un'apologia dell'immoralità che a sua volta lascia indecisi su quanto sia effetto inevitabile dell'estetica cinematografica e quanto invece un'intenzionale strizzata d'occhio, sempre che le due cose possano scindersi.
Rispetto a quello della mafia, il mondo della finanza non offre l'intrinseco mordente dell'esercizio sistematico della violenza e del relativo rischio paranoide di finire morti ammazzati da un giorno all'altro per mano tanto dei nemici quanto dei conoscenti di una vita, per cui TWOWS (urgh) spinge davvero forte su droga, sesso e rock 'n' roll, solo con spudorati funambolismi borsistici ed esaltatissimi discorsi motivazionali al posto degli assoli di chitarra elettrica in ginocchio sul palco a petto nudo.
Se le malefatte dei criminali violenti erano giocoforza brutalmente tangibili, in questo caso si tratta di cattive condotte ben più astratte, in buona parte persino entro i confini tecnici della legalità, e delle vite rovinate dalle speculazioni senza scrupolo non è mai data evidenza; azioni e conseguenze appartengono a due mondi diversi che non entrano in contatto - il che può considerarsi anche più inquietante e disturbante, o magari in fondo solo meno avvincente.
L'organo eccessivamente stimolato si dice diventi insensibile; qua siamo ben lontani da poter arrivare all'apatia ma nel corso di tre lunghe ore la martellante ciclicità di orge, lussi sfrenati e deliri di onnipotenza via via tende un po' a fiaccare lo spirito dello spettatore, anche perchè in pratica non c'è progressione, ci si tiene più o meno sempre sullo stesso sostenuto livello di allegra depravazione, con flashforward di cocaina somministrata per via anale e di pompini a bordo di Lamborghini in corsa anche nella brevissima fase iniziale di ascesa al successo, per finire con una parabola discendente altrettanto corta e morbida.
Non per mettere in discussione la prestazione degli attori e del regista, ma ad essere sinceri, se per me è davvero facile rimanere invischiato per l'ennesima volta nelle peripezie di Ray Liotta e Joe Pesci quando le passano in TV, anche solo per la durata di qualche scena... a caldo\tiepido, questo è invece un film che potrei fare molto volentieri a meno di rivedere una seconda volta in qualsiasi sua parte - salve forse il divertente momento di Matthew McConaughey, che può considerarsi un 'highlight' più di altri maggiormente spinti o insistiti.
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