sabato 28 giugno 2008

Serpente vecchio fa buon polpettone

Guns of the Patriots raggiunge l'apice della sproporzione tra gameplay e narrazione, con quest'ultima che mai ha osato arrogarsi così tanto spazio consecutivo. Un tempo si era continuamente interrotti da codec e cut-scene, in una intermittenza sistematica capace di conferire un certo ritmo; ora sia ha a che fare con un eccesso di continuità, col risultato che, partito un filmato, c'è solo da mettersi l'anima in pace e prepararsi a lunghe contemplazioni senza stacchi.

Quando arriva il momento di piazzare stabilmente le mani sul pad, diventa complicato trovare sincero appagamento. Pensando alla serie, l'impressione è che il gameplay abbia avuto fin troppa voce in capitolo quando non era ancora abbastanza limato e riveduto per meritarselo realmente, vedi Snake Eater, e poi troppo poca proprio quando, alla fine, ha acquisito quella revisione, seppur non eccessivamente sostanziale, che l'avrebbe legittimato in dosi più abbondanti.

Si passa da quella che è in pratica una intro, che fornisce la possibilità di acclimatarsi ancora una volta ai soliti, tutt'altro che agili controlli e ad alcune inedite varianti, ad un capitolo che sembra profilare una gradevole evoluzione di misura della formula di Snake Eater, per poi tornare ad essere comprimari degli eventi per ore ed ore, al massimo occupati da intertempi lievemente interattivi che sanno di flebile tentativo di giustificare la denominazione videogame applicata agli ultimi tre quinti dell'esperienza.
Lascia l'amaro in bocca che la sontuosa direzione artistica e l'enorme cura per il dettaglio profusa anche in aspetti apparentemente marginali siano tutte convogliate in fattori extraludici, che non sia data la possibilità di vivere videoludicamente fino in fondo ogni ambientazione ed evento; così tanti momenti di grande fascino e potenziale sono unicamente recepibili da dietro il finestrino della regia predefinita, e ci si sente come passeggeri in transito, abbacchiati dalla crudele regola del "vedere ma non toccare". Ci si sente esploratori impavidi costretti ad un viaggio organizzato.
Si scoprono dei dettagli che quasi fanno gridare allo spreco; non si possono non menzionare le decine e decine di armi disponibili nell'inventario, singolarmente studiate nella componentistica, modellate e rifinite con cipiglio feticistico, la cui presenza si rivela alla prova dei fatti arbitraria.

Presa coscienza di un impianto di gioco tronco e prematuramente abbandonato, rimarrebbero la trama, e cosa più importante, la modalità con cui viene esposta.
A costo di risultare troppo drastici, la percezione fuori dai denti è quella che dietro tanto ragionare così ambizioso da rasentare la pretenziosità, ci sia qualcosa di non troppo lontano da un polpettone bizzarro, disarticolato e dilatato.
Nella rincorsa a ficcarci dentro proprio tutto tutto, con un citazionismo invasivo e per lo più fine a se stesso, si è un po' persa la capacità di creare aspettativa sul momento, relativa al presente della narrazione.
Di volta in volta, il giocatore\spettatore può finire col chiedersi: ma in tutte queste parole, incontri e situazioni, qual era il problema di fondo? Che rivelazione sto aspettando, in fin dei conti? Quale svolta si profila, quale nodo mi preme davvero che si sciolga?
Così, viene trasportato da un dialogo all'altro, da una scena ad effetto all'altra, quasi per inerzia, cercando di discernere qualcosa di effettivamente rilevante e definitivo in una marea di spiegazioni a metà che verranno irrimediabilmente disconosciute e riformulate nella scena successiva. Con l'aggravante che si tratta appunto di "spiegazioni", "delucidazioni", "precisazioni", che nella loro gratuita imperscrutabilità poco importerebbero ai fini del piacere di sentirsi raccontare una storia; in effetti, sembrerebbero concepite appositamente affinchè la fanbase più fedele si possa intrattenere con vero spirito nerd in discussioni postume riguardo i fatidici puntini sulle i.
Il superfluo chiama il superfluo.
Il superfluo va anche confezionato e tale confezionamento ha richiesto parecchio sforzo, probabilmente distraendo l'autore dal trovare il coraggio di dare un taglio a questioni che reclamavano una resa dei conti sintetica e decisa.

Su un piano parallelo, intervengono quelle definibili come tematiche generali; l'economia della guerra globale diventata legge della giungla nella civiltà tecnologica, il controllo genetico, il controllo psicologico, il controllo delle informazioni, della storia e degli uomini, e così via, insieme alla morte dell'eroismo e alla sofferenza e alla caducità del corpo e a tante altre cose belle. Ancora funzionano, ma stavolta con qualche riserva. Almeno due.
La prima, è che sono diventate ormai prevedibili; sono suggestioni che Kojima ha già rincorso e ottimamente veicolato in passato (specie in Sons of Liberty), il cui "reprise" giocoforza non gode dell'effetto originale, mostrando qualche stanchezza fisiologica.
La seconda, è l'insistenza con cui le solite pappardelle vengono propinate nel corso di Guns of the Patriots, messe in bocca quasi ad ogni personaggio; volendo escludere l'ipotetico tentativo di allungare il brodo quanto più possibile, non c'era una reale necessità di ribadire con tale frequenza messaggi e concetti già arrivati al mittente (si pensi all'estenuante descrizione dei Patriots come IA e\o rete neurale che tutto governa).

Ci sarebbero poi l'invidiabile capacità di Kojima di dire assolutamente nulla in venti minuti buoni di discorsi, certe scene drammatiche che corrono sul filo del rasoio rischiando involontariamente la ridicolaggine, una disomogenità forse troppo brusca tra il prendersi parecchio sul serio e l'abbandonarsi al trash più stupidino... ma tant'è, forse hanno un peso marginale rispetto all'ampollosità e alla diluizione dei tempi che fiaccano la tensione emotiva e l'interesse dello spettatore meno devoto e indulgente durante la fruizione passiva.

MGS4 ha scelto con forza di non essere rivoluzione. E neppure evoluzione. Ma nemmeno riproposizione fedele del suo passato.
Il suo destino è stato la degenerazione. Ha rotto le mezze misure rimanenti; ha compromesso i seppur singolari equilibri su cui si puntellava. Si è tenuto ancora in piedi ma forse ha scelto stampelle sbagliate, di lunghezza diseguale. E' diventato in tutti i modi instabile. Probabilmente delirante, soggetto ad una senilità precoce alla pari del suo storico protagonista.
Tutto sommato, è stato uno di quei viaggi che non si possono dimenticare.
Quel conta è che sia finito.
Purtroppo o per fortuna.
Purtroppo e per fortuna.

Globale: N.C. (not an average)

5 commenti:

  1. Riuscire a dare un’idea del risultato “intimo” di un tet-a-tet con un videogioco del genere senza metter dentro nessuno spoiler, è una qualità che possono vantare in pochi. Il concetto espresso è chiaro, quando ci passerò di persona entrerò nel merito.

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  2. Bel pezzo, ci sei andato pesante eh, ma non credo io sarei stato più tenero.
    Domanda che mi è sorta: quante ore ci vogliono per finirlo? Mi son fatto l'idea che Kojima cerchi di fare giochi "ad alta ripetibilità", ma se ci vogliono 25 ore per passarselo tutto non so quanto possa essere una buona idea...

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  3. Bravo xpeter, cazzo, davvero una bellissima recensione. È una di quelle per la quale compro riviste come Videogiochi prima e Game Pro poi; personalmente quando leggerò la rece di GP sono curioso di metterla a confronto con la tua perchè hai fatto davvero un mega-lavoro.

    Stilisticamente perfetta, ben scritta ma non incomprensibile, sufficentemente obbiettiva (almeno mi è sembrata) e niente spoiler sulla trama.

    Naturalmente non posso valutare l'attendibilità della stessa perchè non ho il gioco ma mi fai quasi venire voglia di prendere una Ps3 con MG solo che per esaminare approfonditamente con mano le tue impressioni. Bravo davvero.

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  4. Grazie ragà ^_^
    In effetti non ci sono andato leggero; ma d'altronde nemmeno Kojima l'ha fatto.
    Il contatore di fine gioco mi segna 18 ore e mezza.

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  5. Questo è davvero un ottimo pezzo; migliore, probabilmente, della grande maggioranza delle recensioni che girano per la rete.

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