Il giocatore moderno è assediato dall’hype, dalla prosopopea, dall’incensamento ad ogni passo. L’intera critica specializzata sembra cimentarsi nell’esercizio retorico dell’iperbole. Un po’ di salutare understatement è quel che ci vuole per riportare il saccarosio nel sangue ai livelli di guardia, e recuperare un certo distacco.
Le opinioni espresse a seguito non sono necessariamente quelle di chi scrive, la cosa è da intendersi come un puro esercizio di retorica di segno eguale e contrario a quello delle tante liste a giro.
1) Super Mario Series. Simpatica serie di giochi di piattaforme. Nasce nel 1985 sostanzialmente unendo le classiche attività dei giochi di piattaforme a quadro singolo all’idea dello scrolling dopo che i vari Pitfall, Spelunker, Pac-Land avevano ampiamente sondato il terreno. Il quesito se siano state l’estetica azzeccata del prodotto e le musichette orecchiabili di Kondo, e non piuttosto l’aggressività con cui Nintendo ha venduto i suoi bundle nel periodo post-crash, a decretare il successo di SMB, è senza risposta: probabilmente una combinazione di entrambi. Il successo del gioco ha dato la stura a una vera e propria inondazione di platform a scorrimento, tra i quali la serie ha saputo comunque rimanere ai vertici di una produzione massificata, ma non distanziando per qualità gli epigoni tanto quanto si vorrebbe far credere. La formula mostrava i segni di cedimento, e i creatori sono stati sufficientemente astuti dal non sovresporre il loro eroe. Con Mario 64 il personaggio è stato incoronato anche indiscusso monarca di un nuovo genere, impropriamente definito platform 3D, genere ibrido nel quale onestamente la corona di Mario è mantenuta più che altro per palese assenza di sfidanti e disinteresse generale del pubblico. L’estetica generale della serie è inversamente proporzionale al consolidamento dell’impero Nintendo: se nei primissimi giochi Mario è dalle parti di Lewis Carroll in salsa Andy Warhol, molto presto si stempera in un innocuo cartoon disneyano.
2) Legend of Zelda Series. Serie di giochi d’avventura con elementi di rompicapo. Il giocatore è chiamato a risolvere una serie di dungeons, trovando chiavi e risolvendo enigmi. Siamo dalle parti di Adventure (Atari 2600), con uno stile grafico inizialmente mutuato da Gauntlet. Vincente l’ambientazione fantasy, che ha attratto molti giocatori vogliosi di segrete e dragoni, ma che mai e poi mai avrebbero preso in mano un paio di dadi. Purtroppo la divertente serie ha subito un trauma in età infantile: scottata dall’aver provato a cambiare un minimo le cose con Zelda II, si è imposta un dietro front categorico, imbalsamandosi. Ne consegue che i vari episodi sono tutti egualmente competenti e intercambiabili. Si tratta di risolvere otto dungeons, aiutandosi di volta in volta con otto oggetti dalle proprietà particolari, ciascuno nascosto in un dungeon. Probabilmente proprio la calcificazione di questa routine ha fatto sì che il passaggio al 3D fosse meno accusato che in altre serie, contribuendo a un rinnovamento di popolarità. Un certo rammarico per il leggero svilimento concettuale avvenuto nel tempo: se all’inizio l’ordine in cui affrontare i dungeons consentiva variazioni, gli episodi più recenti tengono il giocatore per mano tutto il tempo. Se fossimo in letteratura saremmo più dalle parti di un C.S. Lewis che non di un Tolkien.
3) Final Fantasy Series. Singolare miscuglio di meccaniche D&D e estetica pop giapponese. Prodotto assolutamente derivativo in termini di concept, nato come clone di un’altra popolare serie. In questo sottogenere di giochi di ruolo le scelte del giocatore sono ridotte al minimo e i combattimenti sono estremamente semplificati, cosicché il giocatore può meglio seguire il melò epico delle vicende. Gli appassionati sembrano deliziarsi del ripetersi dei tormentoni che comporrebbero l’esile estetica del franchise: pennuti gialli a mo’ di cavalcatura, mostri da evocare, un qualche personaggio che debba chiamarsi Cid. A partire dall’ottavo episodio i personaggi vengono ideati in base a criteri di trend fashion, e si commissiona all’idol di turno una canzone pop che chiuda le danze. Il genere è talmente inflazionato che è onestamente difficile riconoscere alla serie in questione meriti che vadano al di là della semplice esposizione massiccia sugli scaffali dei negozi. Se fossimo nella canzone pop saremmo più dalle parti del frivolo Elton John che non dei rivoluzionari Beatles.
4) Grand Theft Auto Series. La serie più fresca tra quelle prese in esame, ha solo una decade di vita sulle spalle. Si tratta di un simulatore di malavita in cui si è chiamati a farsi strada nel mondo della criminalità partendo dalla gavetta, con una predilezione per i furti d’auto. La ripetizione dei crimini e l’ammassare ingenti fortune sarebbero venute presto a noia, ma il felice intervento del 3D ha gonfiato l’ambientazione rendendola vera protagonista. Alla lunga però anche correre in bici, scattar foto qua e là, e tirar giù gli elicotteri della polizia a colpi di bazooka finisce con lo stancare. Incapaci di proporre un rimedio sul versante del gameplay, la scelta degli sviluppatori è stata di accentuare la componente narrativa, con dialoghi scritti e recitati almeno ai livelli di un serial televisivo, piuttosto che le solite frasi sconnesse da videogioco di mezza tacca. Il divario tra la serie e i suoi numerosi epigoni sembra dunque essere questo allo stato delle cose: che i tipi di GTA hanno racimolato molti più soldi e li hanno reinvestiti nel franchise con una certa oculatezza, anziché spenderli al bordello come fecero i tizi di Lara Croft. Siamo comunque ancora ai livelli di Sopranos, piuttosto che dalle parti di Goodfellas.
5) Metal Gear Solid Series. Nato inizialmente come una variante del nascondino a sfondo militare in cui la storia era essenzialmente muta e i dialoghi rivestivano più o meno l’importanza che rivestono in Golden Axe, Metal Gear si è tramutato in un groviglio di tematiche postmoderne ed ostentazione di filosofia otaku. Il passaggio avviene in concomitanza con l’avvento del 3D, anche se i due processi non sono particolarmente collegati. Dopo aver vissuto un periodo di successo tutto sommato breve (1998-2001) in occidente, fintanto cioè che offriva ai giocatori meccaniche “stealth” relativamente nuove, la serie ha vissuto una vera e propria crisi di rigetto da parte del pubblico, più interessato a giocare a guardie e ladri e meno a riflettere sul ruolo della genetica e dell’informazione nelle vicende umane. Non aiuta lo stile sovente prolisso. E’ quindi comparsa una serie di prodotti “stealth” occidentali che stanno a Metal Gear più o meno come un hamburger McDonald sta alla bistecca alla fiorentina: è più facile da digerire, più semplice da confezionarsi, nutre grossomodo alla stessa maniera e soprattutto non se la tira all’inverosimile vantando presunte origini nobili. Se fossimo al cinema saremmo già un po’ meglio dei fratelli Wachowski o di Otomo, ma grossomodo da quelle parti piuttosto che dalle parti di un Fellini o di un Welles.
Bonus entry) Resident Evil Series. Serie di giochi d’azione che rifrulla il mito romeriano dello zombie. La serie soffre di una certa schizofrenia d’impostazione, essendo passata da un modello originario che prevedeva l’esplorazione di una villa, la risoluzione di semplici enigmi e il saltuario confronto con uno o due zombi, ad un vero e proprio action game. La trama che lega i vari episodi è talmente puerile e pretestuosa che quando il quarto episodio l’ha messa spudoratamente in farsa è stato applaudito come una liberazione: il massimo a cui la serie può aspirare su questo versante è appunto il non prendersi sul serio. L’azione di gioco è incostante e raramente soddisfacente in quanto tenta disperatamente di aggiornare meccaniche nate in contesti diversi, con risultati alterni. Per una volta il gioco gode di una trasposizione cinematografica che le rende giustizia: siamo più dalle parti di Anderson che non di Romero.






Un post davvero piacevole, mi congratulo. Ottimamente; mi stavo accingendo a scrivere una cosa simile, con il benestare di Koji, ma – ahimè – mi hai anticipato.
RispondiEliminaGreat minds think alike! Ma seriamente, mi incuriosisce sapere quanto simile, quindi vi esorto a pubblicare. In taverna lo spazio non manca :D
RispondiEliminaMi dispiace, ma avevo scritto davvero poche parole. (Non ho nemmeno salvato la bozza.)
RispondiEliminaIl concetto era sostanzialmente identico, però: l'inversione dell'approccio da iperbolico a riduzionista, il tono canzonatorio.
L'unica differenza consiste nell'elemento costituente delle voci in lista: la mia idea, in prima istanza, era infatti di stilare la classifica per filone videoludico di appartenenza più che per serie.
Tutto questo per dire che i videogiochi risultano comunque inferiori alle altre forme mediatiche popolari? :)
RispondiEliminaMolto divertente però!
Zehar ma pur sempre anonimo
No, non era quella l'intenzione. Erano solo frecciatine intente a uno svilimento più generale :)
RispondiEliminaComplimenti per l'idea e soprattutto la scelta delle immagini XD comunque una voice chat di 8 ore per mettere giù una top100 dovremmo farla veramente.
RispondiEliminaAhahah, vero, le foto sono ad hoc XD Tra l'altro quello nell'ultima ricorda me l'anno scorso, di ritorno dalla prima uscita al mare senza crema protettiva XD
RispondiEliminaLa classifica è molto interessante, mi ha anche permesso di pensare ai capitoli con cui ho avuto a che fare: un bel viaggio nei ricordi. Riporto l'indice, tanto per…
RispondiEliminaForse sono uno dei pochi che si dicono appassionati e non conoscono a memoria i capitoli che compongono la saga di Mario; li confondo sempre e tra porting ri-porting vari non ho capito neanche quanti sono veramente. Comunque ho attraversato quello per il gameboy mattone, per n64 e per NDS che ho apprezzato moltissimo: gli altri sempre smozzicati perché nel dubbio di non giocare il piùmigliore ci ho sempre rinunciato (in compenso ho giocato tutti i Crash Bandicot, e Spyro, vale? xD). Prossimo: beh, il Galaxy
Per Zelda: gameboy mattone, ma avevo la cartuccia guasta e non mi salvava perciò anche dopo ore e ore di tentativi non sono mai riuscito a vedere la fine. I due per N64, il primo tentato di giocare con una sorta di libretto allegato con la traduzione dentro, poi andato di francese e bon. Per NDS, iniziato, riniziato, riprovato e probabilmente al quarto tentativo riuscirò ad averci a che fare come si deve. Prossimo: prendendo il Galaxy sarà scontato TP, anche se non sono certo si trovi così facilmente.
FF: Il sette due volte nonostante lo stesso giorno che l'acquistai (dopo la rece su SuperPlaystation) ero intenzionato a riportando al negozio dopo mezzora di gioco (in effetti le prime ore mi sono sempre state avverse in tutti, presentazione a parte), il sei smozzicato nella versione sempre su PS1, il quarto su DS mai finito, e poi 8 (apprezzato molto, nonostante c'è chi lo odia a morte), 9 (schifato dalla localizzazione dialettale, ma portato fino in fondo), il 10, il …err 12, e la trial dell'undici provata di recente e un po' più deludente di quanto mi aspettassi. Crisis Core in bundle con la PSP Silver griffata FFCC, ancora chiuso nella sua confezione (non so perché). Tutti con una media minima di 140 ore, fino al secondo cambio di colore dell'orologio per le 200 e passa dell'8. Prossimo: nessuno(??!?), unica saga a non avere un componente a cui aspirare (e pensare che credevo di amarla più di qualsiasi altra).
GTA lo conobbi e snobbai per PS1, poi il vuoto fino a San Andreas lodato e acclamato (non fosse per quella ciofeca di PC ci avrei fatto un giro anche in questi giorni) e Vice City su PSP, in viaggio. Prossimo: scontato, GT4, mi decidessi a prendere un nuovo scatolo per farcelo girare.
MGS: il primo su PSX, ah bei ricordi. Poi il due e il tre entrambi in versione base, niente Substance. Prossimo: il quarto, se lo scatolo avrà una esse sopra.
Resident Evil: tutte e solo versioni Sony. Noleggiai il primo e lo finii pagando un extra per il ritardo. Il secondo lo acquistai al volo, il terzo con meno rapidità, il quarto dopo aver sentito le lodi di xp che poi mi cazziò per non aver scelto la versione nintendosa.
Prossimo: il nuovo, solo dopo lodi smisurate e raccomandazione da parte di qualche tavernicolo e l'arrivo dello scatolo di cui sopra.
bel post. Solo un piccolo appunto: i fratelli Wachowski e Otomo sullo stesso piano è da eretici XD
RispondiEliminaessere eretico è mezzo piacere dello scrivere.
RispondiEliminaScherzi a parte... A Otomo massimo rispetto come fumettista. Come regista sinceramente non saprei. Solo Akira ha fatto il botto, Steamboy era pallosissimo e incasinato. C'è però da dire che che i suoi corti, "Cannon Fodder", e "Interrompete i Lavori!" sono molto belli.
I Wachowski non mi piacciono ma mi serviva un esempio di gente immersa nel melting pot giappoholliwoodiano...
Steamboy me l'ero proprio dimenticato, mediocre in effetti. Non l'ha aiutato un'edizione italiana penosa. Poi non so perchè nella mia testa ho confuso i fratelli Wachoski coi fratelli Cohen, c'era qualcosa che strideva in effetti XD
RispondiElimina@xPeter: ma i sardi non sono immuni alle scottature da sole?