
Sono diverse le sensazioni che si provano quando si termina un videogioco, di solito essenziali come possono esserlo la gioia della riuscita, la delusione per le aspettative tradite, una sensazione generale di (in)soddisfazione. Basilari ma non per questo meno importanti, trattandosi dopotutto delle fondamenta su cui poggeranno tutte le successive argomentazioni, sia da utilizzare per un confronto con altri compagni d’avventura che per decidere d’intraprendere un nuovo viaggio in un prodotto simile. Positive o negative lasciano un’impronta indelebile che accompagnerà l’utente per molto tempo, occupando un posto di rilievo nella sua scatola dei ricordi.
Le "essenzialità" lasciate a chi scrive dal primo capitolo di Phoenix Wright sono quattro: un pizzico di fatica per la lunga maratona finale, compiacimento per le intuizioni che si sono ricavate con la sola forza dei propri neuroni, disagio per quelle che hanno richiesto più fortuna che logica ed infine quel senso di malinconia che si prova nel salutare degli amici che non si potranno ritrovare così come li si è conosciuti in quella particolare circostanza. In questo caso con quel "primo approccio" e la realtiva natura di principiante (dell'avatar e dell'utente) che ha permesso di provare smarrimento e responsabilità, quindi un tipo di coinvolgimento esemplare.
Oltretutto non sono state emozioni fini a se stesse, ma anche lo spunto per l’acquisizione di nuove (piccole) consapevolezze legate ad una visione più realistica delle situazioni a cui si ispira questo tipo di simulazione. Difendere qualcuno in aula non è affatto facile in un sistema basato su regole simili a quelle di un vero e proprio “gioco”, dove non conta la verità o la ragione, ma solo l’abilità d’imporla. Phoenix Wright ci ha voluto bene offrendoci di stare sempre dalla parte giusta della barricata e permettendoci di ripartire dal punto salvato qualora la giustizia non fosse riuscita ad imporsi: ciò non toglie che il sistema basato sull'abilità degli interlocutori avrebbe funzionato in qualsiasi caso, insinuando il dubbio su quanto sia moralmente corretto utilizzarlo nella nostra realtà.
Se questa piccola caricatura del mondo processuale non avesse stuzzicato il pensiero di cui sopra, sicuramente avrà offerto un punto di vista diverso all’interno di uno stesso sistema fittizio. È facile provare tensione e tifare per la risoluzione dei casi se si sta sbracati sul divano davanti ad una puntata della famosa serie di Law&Order, dove pur consapevoli che il lieto fine non è scontato, ci si ritrova comunque spogliati di quella responsabilità diretta che invece in un Phoenix Wright è presente dietro ogni mossa. Nel serial tv il rammarico dello spettatore è simile a quello di un cittadino che legge su un quotidiano dell’ennesima “ingiustizia”, impotente, indignato, ma non di certo carico di quel senso di colpa per averla provocata.
Per non parlare della “fatica” reale da mettere in conto per portare a casa un risultato positivo: vedere un bravo investigatore che in uno spezzone video nota un particolare importante, è molto diverso dall’obbligo di trovarlo personalmente ispezionando attimo per attimo, millimetro per millimetro, la prova filmata di una telecamera di sorveglianza.
In questo tipo di confronto vengono esaltati (e compresi meglio) anche quelle verità date per scontate in anni e anni di azioni poliziesche passive: ad esempio le famose notti insonni dello sbirro hollywoodiano legato morbosamente al suo lavoro e perennemente single\divorziato perché incapace di trovare tempo per altro; una situazione che nel nostro caso assume un connotato più "realistico" in quanto si arriva ad essere personalmente protagonisti delle stesse notti e della stessa insonnia al servizio della ricerca di quella maledetta e fondamentale prova risolutrice.
A conti fatti si può emettere un verdetto positivo grazie ad un risultato dove l'insieme di realtà, finzione e le variabili attive di quest’ultima, creano un mix vincente. Vissuta l'esperienza con il primo capitolo di Phoenix Wright avremo a che fare con un ricordo indelebile, piacevole quanto per certi versi irripetibile.
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